Via Mazzini, la via del Ghetto
 

Dal 1860 il tratto dell’antica via dei Sabbioni, da piazza Trento e Trieste a Terranuova, ha preso il nome di via Mazzini, da sempre via di traffici commerciali e di negozi di vario genere che vi affacciano le loro vetrine. Proprio perché distratti dalla merce esposta in queste vetrine, difficilmente l’attenzione viene catturata dalle caratteristiche architettoniche degli edifici che affiancano la via e che, invece, se ben osservate, riescono a suscitare curiosità e stupore.
Mi riferisco alle così dette “case gotiche”, ai civici n. 24 e 34, un complesso di artistiche facciate riportate all’antico decoro, negli anni 1937-’38, grazie all’intervento della Ferrariae Decus, da sempre solerte nel recupero delle cose belle e di valore. I   cornicioni a beccatelli, gli archivolti ogivali delle finestre, le canne fumarie danno movimento a queste facciate e celebrano il trionfo ornamentale della terracotta ferrarese. La presenza del cotto artistico continua, poi,  nei raffinati disegni sui cornicioni di altre case ornati di fregi a fogliame e a motivi floreali per raggiungere il massimo livello nella cinquecentesca “casa dei tritoni” contrassegnata dai numeri 66 e 72. Il nome le deriva dalla presenza nel cornicione di un fregio, forse l’unico del genere in città, ornato da coppie di tritoni cavalcati da putti.
Nella stessa casa, all’angolo con via Vittoria, non è facile notare una curiosa traccia del terremoto che nel 1570 sconvolse e deturpò la città: un pilastro di marmo che in seguito ad una violenta scossa era uscito di perpendicolo, spostandosi sulla destra, è stato riportato a piombo con un ben visibile sostegno di mattoni.

Da via Mazzini hanno inizio le vie Vittoria (un tempo Gattamarcia) e Vignatagliata che si addentrano,  per un suggestivo dedalo di vicoli, in quello che fu il cuore del Ghetto ebraico. Ed è qui la Ferrara nascosta, nell’intreccio di stradine solitarie che si aprono, a sorpresa, su piazzette silenziose dove i muri antichi conservano storie e segreti e dietro i portoni delle case si nascondono piccoli cortili, corridoi, scale, ballatoi e passaggi che conducono chissà dove. Qui si conserva ancora intatta la struttura architettonica del ghetto e affiora il ricordo dell’intensa vita che vi fioriva. Dal 1624 via Mazzini divenne la strada principale del Ghetto e fu per ordine del papa Urbano VIII che vennero installati cinque portoni, chiusi al tramonto e riaperti alle prime luci dell’alba, per limitarne il luogo: due con belle prospettive di marmo all’inizio e alla fine di via Mazzini, due all’inizio e alla fine di via Vignatagliata che, con quello di via Vittoria, sbarravano l’accesso in via San Romano. Queste porte, abbattute dai francesi nel 1797, furono ripristinate nel 1833 per ordine di Gregorio XVI per essere poi definitivamente eliminate nel 1848. Il Ghetto era un microcosmo nella città reso autonomo ed autosufficiente dai suoi operosi abitanti; non mancava nulla: dalle botteghe artigiane, ai negozi commerciali di ogni genere, dalla scuola, all’ospizio per i vecchi. La comunità ebraica fu bene accolta e protetta dagli Estensi ancora prima del 1492 quando il duca Ercole I invitò in città gli ebrei esuli dalla Spagna e, per il  favore e la protezione di cui godettero, acquisirono un progressivo benessere grazie anche ai loro commerci e alle loro banche delle quali gli stessi Signori di Ferrara si servivano.

E fu proprio nei secoli XV e XVI che Ferrara divenne centro della cultura ebraica di un’importanza tale che, nel 1554, venne scelta come sede di un Sinodo al quale presero parte buona parte dei rabbini d’Italia. A metà della via, quasi di fronte a via Vittoria, si trova il palazzo delle Sinagoghe donato nel 1481 alla comunità dal banchiere romano Samuel Mele perché fosse destinato al culto e dove furono riunite tre sinagoghe in cui venivano celebrati i rispettivi riti: italiano, tedesco e fanese (dalla città di Fano). La sinagoga di rito spagnolo aveva sede in via Vittoria. Dopo le persecuzioni ed i tragici eventi della guerra ’40 -’45, due lapidi sono state poste ai lati del portone d’ingresso: in una si condanna l’odio razziale e si rinnova la memoria dei sei milioni di ebrei che ne furono vittime e di questi, nell’altra, sono elencati i 96 nomi di nostri concittadini. Attualmente nella Sinagoga si svolge regolarmente la  tradizionale attività religiosa e comunitaria e in parte dei suoi locali è allestito il museo dove sono esposte lapidi commemorative, rarissimi volumi stampati nella tipografia ebraica ferrarese e sontuosi armadi scolpiti e decorati provenienti dalle sinagoghe soppresse. Quello che vi resta raccolto è ben poca cosa al confronto delle opere d’arte andate perdute: manoscritti, preziosi testi miniati, paramenti ed arredi sacri razziati o distrutti durante la guerra.

In Via Mazzini, a metà del secolo scorso, molti negozi erano ancora condotti da esercenti ebrei come la cartoleria dei fratelli Finzi, l’emporio di ferramenta Pisa e la rosticceria Ascoli dove si vendevano salamini d’oca, funghi sott’olio e uova di storione. Nella drogheria Zamorani, un buio stanzone che profumava di spezie e di cera, si trovavano tutti gli ingredienti indispensabili per la confezione casalinga del pampepato, il tradizionale dolce natalizio ferrarese. Di alcuni negozi, fra i più frequentati, forse resta ancora vivo il ricordo nella memoria di molti cittadini. In quello di giocattoli “De Marco”, all’angolo di via Vignatagliata, a Carnevale, si potevano acquistare tutti i tipi di maschere, costumi e cotillons. Le liste di nozze si consultavano nel negozio di Spaolonzi che proponeva oggettistica, vasellame e cristalli di primissima qualità. La boutique delle sorelle Franceschini riforniva di pellicce ed abiti da sera le signore più esigenti. Borse, foulards e cravatte si comperavano “Alla Novità”, il negozio in angolo con via Terranuova mentre di fronte, all’angolo con via delle Scienze, la “Cesara” vendeva abiti esclusivi e preziosi costosissimi maglioncini di cachemire.
Di fianco alla pasticceria Bida, famosa in città per i suoi mostaccioli e le torte al limone, vi era il bar degli spallini quando, a metà degli anni cinquanta, la squadra di calcio militava in serie A. Qui sostavano in bella mostra i campioni Fontanesi, Macchi, Bennike e le studentesse dell’Istituto Magistrale di via Romei, all’uscita della scuola, allungavano la strada del ritorno a casa per poter ammirare i loro beniamini e, da questi, farsi ammirare.

 

Maria Teresa Mistri Parente