In tempi molto lontani Ferrara era un umile villaggio
di capanne costruite su dossi lambiti dai pantani creati dal corso disordinato
del Po.
I lembi di terra strappati ai capricci del fiume erano coltivati per
quel tanto che poteva bastare agli abitanti ed agli animali che era
possibile allevare.
Con la malta del fiume si costruivano i mattoni ed il vasellame povero
che solo più avanti, nei secoli, si sarebbe trasformato nel nobile e
prezioso graffito ferrarese.
Con le barche si seguiva il corso delle barche cercando di scambiare
i propri prodotti con quelli dei villaggi vicini.
Vivevano così i primi abitanti di Ferrara, sulle rive del fiume che
era per loro fonte di vita ma anche di angustie continue.
Nel fiume, infatti, aveva dimora un drago orribile che, molto spesso,
affamato ed inferocito, emergeva dalle acque, strisciava sugli argini
e raggiungeva l'abitato avvolgendolo nei fumi che sputava dalle narici,
trascinandosi dietro una grande massa d'acqua ribollente e minacciosa.
Quando ciò accadeva, tutti accorrevano a spalar terra, a formare sbarramenti
con fascine e tronchi nel tentativo di arginare tanta furia.
Ma era il più delle volte che l'acqua prendeva il sopravvento e, travolgendo
ogni ostacolo, invadeva l'abitato, allagando le misere case, devastando
gli orti, annegando gli animali.
C'era un solo modo per fermare il drago ed impedirgli l'assalto alla
città: un modo assai crudele che faceva crescere la disperazione del
popolo impotente davanti a tanta furia.
Bisognava sacrificare ogni volta una giovinetta e, solamente dopo averla
divorata, il drago si sentiva appagato e tornava ad inabissarsi nelle
acque torve del Po.
La città viveva nel dolore, ogni famiglia era provata dal lutto e nessuno
conosceva più la gioia semplice di un sorriso.
Un giorno, da terre lontane, giunse a Ferrara un cavaliere di nome Giorgio:
imponente nella sua corazza e armato di lancia cavalcava con fierezza
un bianco destriero.
Si aggirava incuriosito fra le case e ben presto si vide attorniato
dalla folla.
Chiese il perché di quei volti tristi, di quegli occhi gonfi di pianto,
così fu informato del motivo di tanto dolore.
Giorgio senza proferire parola, spronò il cavallo dirigendosi al galoppo
verso il fiume. Vi giunse proprio mentre il drago emergeva dalle acque
gorgoglianti e minacciose.
Soffiava fumo e digrignava i denti strisciando inesorabile verso la
fanciulla per divorarla.
Fu un attimo: Giorgio si slanciò sul mostro e, con un preciso colpo
di lancia, lo trafisse.
Il drago si contorse furibondo, la coda squamosa frustò l'aria sibilando,
con un tonfo precipitò nel fiume e le acque si chiusero su di lui per
sempre.
I ferraresi, che avevano seguito attoniti l'impresa coraggiosa del cavaliere,
esultarono di gioia e, dopo aver liberato la fanciulla ancora atterrita
e tremante, ritornarono alle loro case ormai certi di aver per sempre
scampato tanto pericolo.
Si fecero grandi feste e tutti dimostrarono la propria gratitudine a
Giorgio che fu eletto protettore della città.
La simbologia di questa leggenda così cara al cuore dei ferraresi è
evidente: il drago altri non era che il Po, dal quale salivano le nebbie
e i miasmi delle acque stagnanti provocate dagli straripamenti; la fanciulla
era Ferrara, mentre il cavaliere Giorgio simboleggiava il progresso
promosso dalla nobile Casata Estense che, con opere di bonifica ed erigendo
argini, costrinse il fiume ad un corso più regolare e meno insidioso.
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